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un blog di Alessandro Nasini

Titti Postiglione ad Annozero

Ieri sera ho dovuto lottare con me stesso e con il telecomando. Seguo Annozero nonostante i mal di pancia che mi provoca il più delle volte, per tante ragioni lunghe da spiegare, ma ieri sera stavo per mollare e cambiare canale. Se c'è uno stile ed un modo di fare che proprio on sopporto è la burletta: dammi pure del cretino ma fallo con un po' di serietà non con gli gnè gnè.

Proprio quando il dito indice stava per scattare è stata data la parola a Titti Postiglione della Protezione Civile. Non sapevo chi fosse, ora mi sono documentato, ma sono rimasto a bocca aperta. Allora le persone in gamba ci sono ancora! Lucida, sintetica, educata, presentissima, esaustiva: il tipo di persona che se fosse clonabile mi vedrebbe alla testa di cortei per la raccolta firme. Quasi da formare un "fan club" su Facebook: la tentazione è stata forte e non è detto che non mi faccia sopraffare.

Bertolaso potrà risultare più o meno simpatico, ma certo è uno che non improvvisa e scegliendo di mandare la Postiglione ha fatto lui ed ha fatto fare al suo Servizio una gran bella figura. E trovo che con Titti (no, non la conosco di persona ma ormai ne sono fan, perdonatemi ...) la bella figura l'ha fatta tutta quel'Italia di persone in gamba, molto in gamba, che occupano posti di responsabilità in molte Amministrazioni ma che per essere dipendenti pubblici rimangono quasi sempre sconosciuti. Non saranno la maggioranza, la loro luce sarà anche offuscata dall'ombra di altri forse non meno capaci ma certo meno decisi e motivati ma ci sono.

Mi piacerebbe riuscire a vederli di più sui Media, a raccontare il come ed il perchè del loro lavoro e delle loro responsabilità. Raccontare successi ed insuccessi, esattamente come sentiamo politici, imprenditori, giornalisti, cantanti, ballerine, attori, nani e giganti. C'è stato un tempo quando servire lo Stato era motivo d'orgoglio e di riconoscimento sociale. Senza demagogia, ma se fosse ora di far tornare quel tempo?

Compiti a casa della terza elementare

Oggi, per l'ennesima volta quest'anno, ho cercato di aiutare mio figlio a fare i compiti di terza elementare ed ancora una volta mi sono trovato in seria difficoltà.

Anche superando la noia mortale con tutta la forza di volontà di cui sono capace, non sono ruscito a capire alcune domande, figuriamoci a trovare le risposte.

Mi chiedo a questo punto se non avrebbe senso, e magari previsto nella riforma, che venissero istituiti dei corsi anche per i genitori. Corsi nei quali ci venisse spiegato almeno il metodo (non pretendo il libro delle risposte come ai quiz della patente), tanto per non doversi sentirsi dire "papà, ma è possibile che non capisci?" e poter essere un po' meglio preparati, visto che noi la scuola l'abbiamo finita da qualche anno ed allora era molto diversa da oggi.

Posso sperare, a settembre prossimo, in un corso di recupero?

Passaparola

Nel bel mezzo della festa dei sette anni di mio figlio, tra un rovesciamento di Coca-Cola ed un pezzo di pizza spiaccicato sul pavimento, mi sono trovato a chiacchierare di Facebook con uno dei genitori venuti a recuperare il pargolo. Con la poca voce rimasta (buona parte della quale spesa per convincere il figlio del genitore a non sradicarmi i lampioni del giardino...) abbiamo dicusso di cosa sia oggi il passaparola, ai tempi dei Social Network.

Gli ho proposto un giochino (ma come in molti dei miei giochini, facevo sul serio..), ovvero provare ad elencarmi dieci prodotti o servizi provati di persona, dei quali fosse talmente soddisfatto da caldeggiarli incondizionatamente. Tanto convinto da consigliarli al suo migliore amico o peggio ancora a giocarcisi la sua credibilità professionale. Un'auto? Un telefonino? Un ristorante? Un capo di abbigliamento? Quello che voleva, ma dieci consigli.

Beh, abbiamo fatto il giochino insieme ed non siamo riusciti ad andare oltre i sette prodotti (il genitore) ed i sei prodotti (io). Allargando il ragionamento (con un certo salto, lo riconosco...) ad altre mie note, mi chiedo: come la mettiamo con la "generazione del valore" di cui molti parlano riferendosi alla presenza (leggasi opportunità)  delle Aziende sui Social Network? Se il valore non c'è? Se il valore non è sufficiente a reggere le gioie ed i dolori del passaparola, cosa succede? Quanto un'azienda deve guardarsi dentro (ed al proprio portafoglio prodotti) prima di pensare di esporsi sui SN? Un sacco di domande, alle quali provare a rispondere. Per gioco, ma mica tanto.

Comunicazione non è Comunicare?

Compatibilmente con i postumi di una influenza a dispetto del vaccino fatto, influenza fatta in piedi come di regola per ogni imprenditore, ho trascorso un po' di tempo al Forum della Comunicazione. Una bella agenda, presenze importanti, una buona occasione comunque per devirtualizzare un po' di conoscenze facebookkiane e linkediane e la curiosità di annusare l'aria, spiare la concorrenza (essì, sembriamo tutti amici ma al dunque, quando sul tavolo del cliente arrivano tre offerte...) e cercare sempre di imparare qualcosa.

Complice la quasi afonia (per chi comunica di mestiere meglio una gamba rotta della laringite) ho parlato poco e ascoltato molto. Ascoltato molte, anzi troppe cose che non avrei voluto sentire. Passi per l'uso spericolato della sintassi, passi per le espressioni gergali (ok per medici, avvocati, ingegneri... ma non per i comunicatori!) però troppe chiacchiere, troppe. Ho ascoltato troppi addetti ai lavori raccontare quasi vantandose che "su Facebook loro non ci sono perchè si perde troppo tempo", che la televisione generalista non deve temere per il suo futuro, che loro vent'anni fa erano già in rete (però su CompuServe e AOL non ricordo di averne incontrato uno...) che le aziende sono governate (quasi tutte) da manager ignoranti e zoticoni che non leggono e non vanno a teatro.

Ho avuto la stessa sensazione di quando guardo in tv l'ennesimo documentario sui dinosauri. Animazioni popolate da tirannosauri e pterodattili un po' plasticosi che si muovono a scatti ma che comunicano la loro granitica convinzione di essere padroni del globo terraqueo. Candidati a rimanere tali per sempre. Gran brutta fine hanno fatto. Ho sentito dire in almeno due terzi degli incontri che "le aziende non sono in grado di cogliere le opportunità offerte dai social network" e che non capiscono che "c'è una magnifica occasione per generare valore". Tutto vero, tutto già sentito e tutto un po' noioso. Molte diagnosi, poche le cure proposte. Tanta paura di comunicare, pochissima voglia di fare rete. Ho sentito anche alcuni spunti interessanti, trovato qualche conferma delle buone potenzialità di progetti in pentola, ma certo mi aspettavo di più e di meglio.

Più confronto e discussione (tra i relatori e con il pubblico in sala), una formula più snella (il social networking, il 2.0, non vale la pena di farlo anche de visu?), una connessione wi-fi funzionante (non ci crederete, si può fare!), più ragazzi e ragazze con meno di trent'anni, meno volantini e depliants, meno penne omaggio e meno caramelline griffate. Peraltro nemmeno tanto buone. Ma forse, chissà, sono un po' dinosauro anch'io e non ho capito.

Libertà e Felicità

« Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo. » Immanuel Kant

Fatto trenta, perchè non trentuno?

Non amo molto volare. Non mi piace il fatto che dalla porta di casa al posto in aereo ci debbano essere tutte quelle complicazioni, i controlli, le attese, le scarpinate nei terminal. Se non amo volare odio invece profondamente il treno, forse retaggio di alcuni interminabili viaggi in treno da bambino. La scorsa settimana però, dovendo andare prima a Bologna e poi a Milano mi sono fatto convincere (non senza lottare strenuamente) a prendere un treno al posto dell'auto o dell'aereo. "Ora c'è il Freccia Rossa" mi hanno detto tutti in coro a studio. E Freccia Rossa è stato. Prenotazione online, sms di conferma arrivato come promesso, biglietto elettronico stampato da PDF perchè non si sa mai. Bagaglio per una sola notte, un solo cambio di biancheria e camicia. Il fidato portatile HP (se portatile si può chiamare una Mobile Workstation da 3 kili e mezzo + alimentatore...) ed il Mini-Note HP 2133 alla prima vera trasferta. Si può vivere 48 ore con gli stessi boxer, non 12 senza internet. Il Freccia Rossa si presenta bene: rosso, filante, possente, sembra in effetti più un aereo senza ali che un treno. Il posto di seconda è stretto e lo schienale a 90° come sul vecchio pendolino ma tant'è. C'è però il tavolino alla giusta altezza ed una presa di corrente per ogni posto a sedere. Certo una presa Schuko non c'è, meno male che ho cambiato il cavo del "portatile" prima di partire, sennò con la presa standare ci facevo il brodo. Comunque, veniamo al viaggio. Il treno è partito puntalissimo, arrivato altrettanto puntuale ed a parte qualche breve tratto un po' dondolante il viaggio è stato confortevole. Salvo che per una cosa, anzi due: il segnale del cellulare è andato e venuto per tutto il viaggio a prescindere dai passaggi in galleria e non sono riuscito a mantenere una connessione internet via Vodafone decente se non per brevi tratti. Un vero peccato, non tanto per le telefonate e non tanto per le mie quanto per i continui improperi dei miei compagni di scompartimento ad ogni "caduta" della linea, quanto per la connessione. HSDPA a tratti, UMTS ogni tanto, GPRS poco, vuoti di segnale troppi = navigazione a singhiozzo ed extranet pressochè inaccessibile. Nella mia carrozza c'erano almeno altre 25 persone nelle stesse condizioni con chiavette, telefonini o schede di vari carrier. Fatto trenta, perchè non trentuno? Sarebbe tecnicamente possibile garantire wi-fi a bordo con velocità accettabile, magari anche in galleria? La risposta è si e non mi risulta con costi inaccettabili anche senza far pagare un sovrapprezzo (al quale sarei anche disposto) ai passeggeri. E allora, a quando il trentuno?

Chris Anderson: ''L'energia e la futura Silicon Valley''



Dalla Silicon Valley stiamo passando alla Sun Valley. Noi possiamo solo sperarlo, Chris Anderson ce lo da per certo: Obama lo ha deciso e quindi si farà. D'altra parte la Silicon Valley è negli States, mica qui in Italia.

Ho avuto il piacere di ascoltare il direttore di WIRED nell'incontro ''L'energia e la futura Silicon Valley'' organizzato dall'Enel a Roma il 5 febbraio. Un incontro di un'ora e mezza molto ben condotto da Antonio Capranica grazie al suo inglese fluente e alll'occasione di un tema caldo: proprio ora che tante aziende della Silicon Valley sentono pesantemente la crisi, saranno in grado di mantenere la corsa verso quell'innovazione che dovrebbe rappresentare una chance per il futuro di tutti?

Chris Anderson non ha mostrato dubbi: la risposta è si, certamente. L'innovazione ci salverà (noi come umani e ambiente...) perché la disponibilità di soluzioni "green" porterà alla diffusione di una maggiore coscienza e responsabilità. Persino lui - così ci ha raccontato - che aveva in auto il piede pesante ed amava correre, da che guida un'auto ibrida è stato portato gradualmente ad assumere comportamenti virtuosi. Il solo leggero rumore provocato dal passaggio dall'alimentazione elettrica a quella a benzina ha finito per provocargli un senso di disagio. Un "click" che funziona da allarme del passaggio (con l'aumento della velocità) dal comportamento virtuoso a quello irresponsabile.

La cosa mi ha dato da pensare. Cosa succederebbe se nelle nostre case, negli uffici, al superare di una certa soglia di consumo elettrico suonasse un garbato allarme? Correremmo a spengere una lampada dimenticata accesa, abbasseremmo lo scaldabagno di cinque gradi o faremmo finta di nulla? E se dopo qualche minuto l'allarme diventasse da garbato ad imperioso?

Se insomma progresso tecnologico ed educazione procedessero il parallelo, magari grazie alle possibilità che la tecnologia stessa offre a quattro soldi, non potrebbe esserci un futuro "verde" che da remoto diventa prossimo?

Voglio provare a ragionarci meglio, magari partendo dalla realtà di casa o dello studio. Niente di clamoroso, ma un piccolo aiuto che ogni giorno accompagni me per primo e chi vive o lavora con me ad utilizzare le risorse in modo più furbo. Se riesco a produrre qualcosa di utile vi avverto, ma se fate prima voi non siate gelosi: la mia e-mail l'avete.

Chi vuole 1 Euro in regalo?

Ho deciso di dar via ad una mia personale e probabilmente inutile battaglia contro il gratis ed ho stabilito anche un sontuoso budget per il primo mese di lotta: 10 Euro.

Il piano è semplice: donerò 1 (uno) Euro ciascuno ai primi dieci (10) siti che vorranno autosegnalarsi quali meritevoli di attenzione per la qualità dei loro contenuti. Inviterò i miei contatti a fare altrettanto. Continuerò a  farlo per i prossimi sei mesi, intanto per cominciare.

Perché lo faccio? Per una ragione molto semplice: non mi piace in concetto di gratis. Perché è gratis prendiamo due copie della free-press di quartiere, tre matitine all'IKEA, sette tovagliolini per involgere il tramezzino al bar e 25 segmenti di carta igienica nel bagno dell'ufficio. Con la stessa leggerezza, scarichiamo duecento video dai vari *tube, mille brani più o meno legalmente, per non parlare del software: meglio non farsi mancare nulla e fare le formiche. Tanto è gratis.

Non necessariamente le cose costose hanno anche un valore - potrei intratterervi con un lunghissimo elenco di esempi - ma certo il sapere che tutto ha un valore (anche se minimo) porta a considerare molte cose in modo diverso. E a non accumulare "cose" che poi non avremo nemmeno il tempo di utilizzare.

Sul web, dove trascorro buona parte del mio tempo, ci sono un sacco di siti interessanti, alcuni molto interessanti, assolutamente gratuiti ma che con un minimo contributo periodico (o una-tantum) da parte di una ragionevole percentuale dei frequentatori potrebbero fare un salto di qualità. Intanto comincio io. Con 10 Euro.

Chi ci sta, metta il dito quì sotto!

Innovazione, innovatori, ma non saranno troppi?

Ho fatto ieri una rapida ricerca su Facebook. Il risultato: 408 gruppi che hanno nel nome il termine innovazione e 42 che contengono il termine innovatori. Caspita quanti, ma non saranno un po' troppi? Ho dedicato alcune ore a leggere manifesti programmatici e "statuti" rilevando un numero infinito di analogie, per non chiamarle ripetizioni, francamente preoccupante.

Mi viene da dire che la prima innovazione vera, la novità quasi assoluta, sarebbe un po' di coordinamento. Sopratutto in considerazione del futuro difficile, o almeno non roseo, che ci attende nei prossimi mesi o anni.

Capisco gli individualismi, capisco i distinguo, ma così si disperdono una enorme quantità di energie che invece potrebbero essere sfruttate in modo molto più produttivo.