Ho fatto ieri una rapida ricerca su Facebook. Il risultato: 408 gruppi che hanno nel nome il termine innovazione e 42 che contengono il termine innovatori. Caspita quanti, ma non saranno un po' troppi? Ho dedicato alcune ore a leggere manifesti programmatici e "statuti" rilevando un numero infinito di analogie, per non chiamarle ripetizioni, francamente preoccupante.
Mi viene da dire che la prima innovazione vera, la novità quasi assoluta, sarebbe un po' di coordinamento. Sopratutto in considerazione del futuro difficile, o almeno non roseo, che ci attende nei prossimi mesi o anni.
Capisco gli individualismi, capisco i distinguo, ma così si disperdono una enorme quantità di energie che invece potrebbero essere sfruttate in modo molto più produttivo.
Solo qualche mese fa sembravano un modello perfetto: poche chiacchiere (non più di venti minuti), buone slide, tempi serrati: se hai qualcosa da dire dilla, se hai paura di confrontarti stattene a casa.
Poi è successo qualcosa che ho paura abbia fatto invecchiare la formula di colpo: ne avevo avuto sentore al GreenCamp e ne ho avuto conferma sabato al KublaiCamp. Non è un problema legato agli argomenti, non dipende dalla bontà delle cose dette o dalla qualità dei baristi o degli avventori.
Forse farà questo effetto solo a me, ma a me sembra sempre di andare via avendo perso un'occasione. Occasione di cosa? Di mettere un punto, magari anche due su un qualsiasi tema o progetto. I tempi serrati, democrazia dell'orologio, attribuiscono a tutti lo stesso spazio e la stessa visibilità, un po' come alla tribuna elettorale. Qualche domanda, tante critiche ed altrettante riflessioni rimangono sempre della strozza. E non credo solo a me, a giudicare dal mugugno a bassa voce che segue quasi sempre uno speech.
Sto, ma farei meglio a dire stavo, lavorando da qualche tempo al progetto di un BarCamp su alcuni temi che mi interessano ma devo trovare un altra formula per la giornata, formula che al momento ancora mi sfugge. Portare tutta quella gente in uno stesso luogo anche solo per poche ore costa troppa fatica, troppe energie e troppi soldi per sprecare l'occasione. Con qualcuno dei Kublaiani, sabato scorso alle Officine Farneto, un accenno di ragionamento lo abbiamo cominciato, spero proprio che dalla condivisione della "bollitura" della formula barcamp si riesca a mettere in pentola qualcosa di più fresco. E in questo senso, chi volesse darmi una mano, o meglio prestarmi qualche neurone, sarà il benvenuto.
Domani Obama giurerà e sarà Presidente degli Stati Uniti d'America. Stanotte gli americani, molti dei tanti che l'hanno votato e credo una buona parte di chi ha votato McCain andranno a dormire e faranno un sogno. Sogneranno che un uomo, un solo uomo, possa cambiare la storia. Degli americani e di un'altra bella fetta di questo mondo.
So poco o nulla di Obama, se fossi americano forse non lo avrei nemmeno votato, però stanotte un po' di invidia per gli americani ce l'avrò. Ma quando mai ci è capitato di pensare ad un politico di casa nostra con la stessa passione e lo stesso trasporto? Ci capiterà mai?
Domani Obama giurerà, sarà Presidente e forse da subito il sogno di moltissimi si infrangerà contro la realtà delle cose. Però almeno per una notte...
Pensavo fosse solo una boutade, speravo fosse solo una boutade, invece no. Giovedì sono stato all'interessante convegno organizzato dall'Istituto per le Politiche dell'Innovazione dove la battuta era circolata e pensavo di questo si trattasse, di un artificio oratorio di uno dei relatori. Ieri pomeriggio mi sono infilato in un megastore di quelli dove trovi di tutto, dal forno a microonde al palmare di ultima generazione, dal depilzero al pc multimediale di grido. Ne esco sempre piuttosto sconsolato dalla costatazione del sapiente mix di sacro e profano che viene esposto sugli scaffali. Sono uno di qui dinosauri che resta convinto che la diffusione di massa dell'informatica sia un male, ovviamente nei modi in cui è avvenuta. Ma questo è un discorso che magari faremo in un'altra occasione.
Sono stato un'oretta ad aggerirarmi tra gli scaffali fingendo interesse per il ciarpame esposto, in realtà origliando i discorsi degli avventori. Oddio, altro che boutade. La gente vuole proprio un PC per andare su Facebook, anzi vuole un netbuk per andare su feisbuc. D'altra parte dove mai potrebbe andare con un accrocco con il display di un Nintendo e la tastiera ben peggiore di quella del forno a microonde? Basta che ci sia un rettangolino dove cliccare, e dopo la prima immane fatica di registrarsi (bisogna scrivere il proprio login) le volte successive con due click sei in feisbuc, dove poi ti poi limitare a cliccare come con il telecomando della tv.
Non ho nulla contro Facebook (ci mancherebbe... proprio io), non ho nulla contro il fatto che tutti abbiano un pc (magari fosse...), ma così è come comprare un'auto sportiva senza avere la minima idea di cosa sia guidare. Il motorino al figlio che non è mai andato in bici. Ancora una volta ci troviamo a correre senza aver imparato a camminare. Non è bene. Si rischia di slogarsi una caviglia e perder interesse per il piacere ed il valore della corsa.
Tornando al convegno, su una cosa prima di altre mi è venuto di ragionare: c'è ancora bisogno di un piano di alfabetizzazione, ce n'è un maledetto bisogno anche se sono certo che non verrà. E' di oggi il dato di quanto ci costa il basso livello di competenza informatico dei dipendenti pubblici, ma so per esperienza che in tanto privato le cose vanno anche peggio. Lo stesso problema c'è nella scuola, pari pari, dove abbiamo insegnanti messi in crisi dai nostri figli supernintendizzati, ma non per questo alfabetizzati. E abbiamo milioni di anziani ai quali non pensa nessuno, ma ai quali stiamo preparando un futuro prossimo fatto solo di servizi telematici che non saranno in grado di utilizzare, se non intermediati dalla badante rumena.
In più, ora che lo spazzolino da denti elettronico a sei velocità tira meno, che il girapolenta fotonico piace meno, ci stanno dicendo che è un bene per l'economia che il consumatore faccia le rate per avere un netbuk per andare su feisbuk. Ma è proprio l'unica via? Non c'è proprio il modo di insegnare al consumatore le moltiplicazioni in colonna oltre che fagli imparare le addizioni da autodidatta? E se d'improvviso ricominciassimo a ragionare sul fatto che è un cittadino, prima che un consumatore?
Quanto a libertà economica siamo al 76° posto della graduatoria elaborata ogni anno della Heritage Foundation e dal Wall Street Journal. Siamo riusciti a fare persino peggio dell'anno scorso, quando l'Italia risultò (se non ricordo male) intorno al 65° posto. Che non fossimo ad Hong Kong (prima), in Irlanda (quarta), in Svizzera (nona) o in Gran Bretagna (decima) lo avevamo intuito, ma di essere addirittura messi peggio del Madagascar è dura da digerire.
Ma è mai possibile? Governo dopo governo ogni speranza di boccata d'aria, di alleggerimento, di semplificazione viene regolarmente fatta naufragare in un nulla di fatto. Ma non c'è proprio nulla da fare? Pensare di farcela ad uscire da un crisi come l'attuale, di tornare a correre, con uno Stato che ci trattiene per il collo della giacca è ben difficile.
Viene quasi da pensare che persino dovendo affrontare i problemi che il trasferirsi in un altro paese comporta il peso sarebbe nulla rispetto a quanto dobbiamo faticare da noi. Con tutta la buona volontà di tenere duro, la tentazione di fare la valigia diventa sempre più forte.
Gratis è bello, gratis è buono, gratis è libero. Però nulla e gratis davvero, e Wikipedia non è da meno. E' qualche anno che vado sostenendo che sul web il modello del "tutto gratis" è destinato a scomparire. A scomparire perchè è fisiologico, a scomparire perché in fine dei conti è giusto che così sia. Ogni servizio ha un costo di produzione e sul web non valgono regole diverse da altri ambiti, anzi. Anche ammesso di poter contare su una base di contributors volontari, i costi di infrastruttura sono sempre pesanti. Può pagare tutto la pubblicità? Forse, ma non paghiamo anche quella?
Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia ha rotto in qualche modo un tabù e l'ha fatto con chiarezza e senza giri di parole. Potremmo discutere a lungo su cosa sia diventata Wikimedia oggi (me lo chiedo da un po'), se e quanto sia attendibile (in molte voci, poco), se il suo modello di funzionamento e di sviluppo necessiti o meno di essere ripensato (secondo me si, e prima possibile), però almeno ora è chiara una cosa: volere cammello, pagare pecunia.
Pochi pagheranno e molti ne usufruiranno? Fa parte del gioco. E l'idea mi piace molto, perché l'introduzione di un "prezzo" del servizio da il diritto, virtuale certo più che sostanziale, di pretendere una maggiore qualità. Pochi dollari, pochi euro l'anno, sono un peso insignificante per il singolo utente ma possono rappresentare ossigeno, sprone e motivazione per lo sviluppo di servizi di valore. Sinceramente, rimpiango spesso i 19 dollari e novanta al mese che spendevo tanti anni fa per l'abbonamento a CompuServe e sarei ancora ben disposto a spenderne per servizi di pare qualità.
Per come la vedo io, modello e regola potrebbero valere tanto per il forum di quartiere che per il quotidiano nazionale, per il club del pizzo a tombolo come per il blog di pinco pallino. Dopo il "pay-per-view" della partita di calcio, lancerei un "pay-per-gratis": soldi forse anche meglio spesi.
Messaggi di fine d'anno. Messaggi per l'anno nuovo. Diagnosi precise e inviti a non perdere la calma, a non perdere la speranza, a lottare per la guarigione.
Per quarantott'ore abbiamo sentito fior di cervelli fare un bilancio preciso e puntuale degli ultimi mesi: la diagnosi è condivisa, l'economia non gode di buona salute. Vi dirò, ce ne eravamo accorti anche noi che non andiamo in tivvù ma solo al supermercato a comprare il pane. Ora però ne avremmo abbastanza di sentire diagnosi e vorremmo un "aiutino" per capire quale è la cura, se ce n'è una e - perdonate per una volta il campanilismo - quale è la cura buona per le nostre parti.
Che ne sò, magari una piccola indicazione di quali settori soffriranno meno, quali ripartiranno prima, in quale direzione un giovane possa orientare i propri studi ed un piccolo imprenditore pensare di impiegare le magre risorse. Nessuna ricetta miracolosa, il vaccino di lunga vita sappiamo che non c'è, ma magari un po' di luce, magari un moccoletto da seguire nel buio pesto. Giusto per fare come nella vita reale, dove se faccio una consulenza e dopo l'analisi mi alzo e me ne vado senza dare la soluzione è improbabile che mi paghino. E direi giustamente.
Insomma, i tanti esperti, Centri Studi, Istituti di Ricerca, ce l'hanno una qualche idea o nel buio ci vedono male o nulla come noi?