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un blog di Alessandro Nasini

Ho visto l'Etna con la neve.

 

Non tornavo a Catania da più di vent'anni, forse qualcosa in più. So di aver vissuto a Messina ed Augusta da piccolo ma non ne ho ricordo. Ho ricordi invece molto nitidi di due vacanze siciliane, una delle due in Vespa. Arrivare a Catania mi ha fatto un effetto stranissimo, che faccio fatica a descrivere. Ero quasi commosso, certamente emozionato.

Dieci minuti dopo l'atterraggio e dopo meno di cinque minuti per ritirare il bagaglio imbarcato stavo già guardando l'Etna innevato come un bambino piccolo guarda l'arcobaleno. Peccato il tempo fosse così così.

Mezz'ora più tardi ero in albergo che preparavo la borsa con le Nikon, pronto ad affrontare un pomeriggio in giro per la città: volevo guardare più cose possibile e registrarle, non avevo molto tempo. Mi sono fatto mezzo lungomare a piedi, quel lungomare che ricordavo pieno di palme bellissime, troppe delle quali assassinate dal punteruolo rosso, ho comprato i biglietti per il bus e sono andato in giro per un'ora per guardarmi intorno e origliare i discorsi dei catanesi. Ho ascoltato e fotografato e, devo confessarlo, masticato parecchio: un arancino al ragù, una cipollina, due cannoli piccoli, tutto in bar differenti. Non per ingordigia, avevo voglia di assaggiare Catania come faccio sempre in ogni luogo dove vado. Qualcuno disse che le persone sono quel che mangiano e credo che i catanesi non facciano eccezione, confermano la regola, anzi ne scrivono una tutta loro.

 

Catania è sempre bellissima, non saprei dire esattamente perché, un po' come quelle belle donne che viste pezzo per pezzo, naso, occhi, bocca non ti colpiscono ma che nell'insieme ti fanno innamorare. La bellezza di Catania è fatta di un muro di un vicolo, della ringhiera di un balcone, di un taglio di luce, di un banchetto di fiori, della facciata di un palazzo e del gradino di una chiesa e nel suo complesso innamora. Non sono certo i catanesi se ne rendano veramente conto, come accade pari pari a noi romani, finchè da Catania non vanno via. 

I catanesi, rispetto al mio ricordo, li ho trovati molto meno solari e non era per la settimana di brutto tempo appena passata. Temo che il brutto tempo duri da un po', certamente da troppo. Il tassinaro che mi ha riportato in albergo (ho dimenticato di chiedergli il termine catanese) era parecchio arrabbiato. Era arrabbiato con il traffico, era arrabbiato con le macchine in doppia fila, era arrabbiato con le cartacce, era arrabbiato con il sindaco attuale e con i dieci precedenti. Ho tentato un "come da noi a Roma" ma non è servito a molto. Ha proseguito infervorandosi e parlando di spiagge mal collegate con la città, di parcheggi mai inaugurati, di regole mai rispettate. Caspita, spiagge a parte, ma ero a Catania o a casa mia? L'Italia è lunga e diversa, ma le cose malate sono sempre le stesse. Finchè si sta a casa propria l'assuefazione rende la cosa meno dolorosa, quando le ritrovi altrove ti ritornano in mente di botto e ti bruciano di nuovo.



La mattina dopo ero agli Stati Generali dell'Innovazione, ed era una giornata fantastica. Il sole era pieno, l'aria pulita, il bianco accecante ed i colori bruciati dal riverbero così deve essere. La tentazione di scappare da Palazzo Platamone per tornare in giro per la città è stata fortissima ma ho resistito: il motivo per cui ero a Catania era serio e l'ospitalità del Comune andava onorata.

Ho ascoltato tutti gli interventi, friendfeeddando gli spunti che mi sono parsi al momento più interessanti. Per chi volesse, il tag è stato #innovaCT per Friendfeed. e Twitter. La cronaca della giornata e degli interventi la trovate sul blog di Catepol, digita a quattro volte la mia velocità ed è stata puntualissima nel prendere appunti e riportare la cronaca meglio di quanto potrei mai fare io qui.

Mi interessa invece ragionare ad alta voce, una sorta di ripasso, su quello che ho visto e sentito durante la giornata e magari sottolineare alcuni aspetti positivi ed altri meno.

Ho visto due sale, una "istituzionale" e l'altra del Barcamp, ed erano in due piani diversi. L'istituzionale al primo piano, nella sala grande ed il barcamp al pian terreno, in quella piccola. Non lo avrei fatto: non c'è stata fusione e non c'è stat contaminazione ed è stato un peccato. Chi ha partecipato ai panel istituzionali non ha potuto seguire i progetti presentati e invece gli avrebbe fatto un gran bene. Lo dico sinceramente: mentre le istituzioni ripetevano "fatevi avanti con dei progetti" al piano di sotto c'era chi i progetti provava a presentarli. Qualcuno più realista magari, altri più strampalati, ma il fuoco ardeva al pian terreno, non al piano nobile. Lo stesso errore l'han fatto i barcampisti, mi spiace dirlo, che con poche eccezioni hanno dedicato meno attenzione alle cose dette al piano di sopra di quanta ne meritassero. La buona volontà era percepibile e, archiviando qualche loop autoreferenziale di troppo come incidente di percorso, la sostanza c'era ed i soggetti con cui quagliare, pure.

Ho sentito il Sindaco Stancanelli ripetere più volte durante la mattinata un invito a cominciare dai "progetti a costo zero". Posso capire che se avesse detto "abbiamo soldi a secchiate" sarebbe stato più emozionante, però anche il realismo ha il suo valore. Ad esempio, riscrivere le regole di una comunità può essere un primo passo a costo zero. Sono certo che il tassinaro arrabbiato sarebbe ben disposto a constribuire alla scrittura: niente sosta in doppia fila e basta cartacce per terra. Troppo semplice? Utopistico? Forse si, ma magari no.



Gli amici catanesi mi dicono che a Catania ci sono anche cose che funzionano, o che perlomeno funzionano meglio che altrove: ad esempio l'Università. Mi risulta che la qualità dell'insegnamento sia buona e che ne escano dei buoni laureati. Non è tutto, ma è molto. Manco a farlo apposta, Economy di questa settimana pubblica un Dossier Sicilia intitolato "L'isola che c'è". Si racconta nel dossier di problemi gravissimi e di storie di ripresa, di speranze tradite e di progetti emozionanti. Chiedo agli amici catanesi di valutarne l'attendibilità, ma a me gli spunti quadrano.

Quadrano con quello che ho visto e sentito agli Stati Generali dell'Innovazione, quell'innovazione che non può non partire dal rendersi conto di quali sono gli "asset non duplicabili", una espressione un po' roboante per dire quali sono le cose cha a Catania ci sono, in Sicilia ci sono ed altrove no. Io ho visto, annusato ed assaggiato un sacco di asset: un mare pazzesco, un sole che quasi cuoce già a marzo, gente bellissima e orgogliosa, dolce e salato per il quale qualsiasi nordico (decidete voi quanto a nord) impazzirebbe. Solo per partire da quelli talmente evidenti da diventare invisibili. Invisibili ad un catanese, non ad uno che arriva da fuori.

Un città nella quale autunno e inverno è solo un breve incidente che segue all'estate e precede la primavera è una città dove può essere fantastico fare un sacco di cose; la creatività e la voglia di innovare - davanti ad una granita di gelsi - può esplodere di risultati inimmaginabili altrove. Ci sono un sacco di persone che ci stanno provando, qualcuno già ci riesce, molti vanno convinti che tutto è possibile.

Sono speranzoso che il maledetto insetto rosso si troverà il modo di debellarlo e le palme presto torneranno. 

Comunicazione non è Comunicare?

Compatibilmente con i postumi di una influenza a dispetto del vaccino fatto, influenza fatta in piedi come di regola per ogni imprenditore, ho trascorso un po' di tempo al Forum della Comunicazione. Una bella agenda, presenze importanti, una buona occasione comunque per devirtualizzare un po' di conoscenze facebookkiane e linkediane e la curiosità di annusare l'aria, spiare la concorrenza (essì, sembriamo tutti amici ma al dunque, quando sul tavolo del cliente arrivano tre offerte...) e cercare sempre di imparare qualcosa.

Complice la quasi afonia (per chi comunica di mestiere meglio una gamba rotta della laringite) ho parlato poco e ascoltato molto. Ascoltato molte, anzi troppe cose che non avrei voluto sentire. Passi per l'uso spericolato della sintassi, passi per le espressioni gergali (ok per medici, avvocati, ingegneri... ma non per i comunicatori!) però troppe chiacchiere, troppe. Ho ascoltato troppi addetti ai lavori raccontare quasi vantandose che "su Facebook loro non ci sono perchè si perde troppo tempo", che la televisione generalista non deve temere per il suo futuro, che loro vent'anni fa erano già in rete (però su CompuServe e AOL non ricordo di averne incontrato uno...) che le aziende sono governate (quasi tutte) da manager ignoranti e zoticoni che non leggono e non vanno a teatro.

Ho avuto la stessa sensazione di quando guardo in tv l'ennesimo documentario sui dinosauri. Animazioni popolate da tirannosauri e pterodattili un po' plasticosi che si muovono a scatti ma che comunicano la loro granitica convinzione di essere padroni del globo terraqueo. Candidati a rimanere tali per sempre. Gran brutta fine hanno fatto. Ho sentito dire in almeno due terzi degli incontri che "le aziende non sono in grado di cogliere le opportunità offerte dai social network" e che non capiscono che "c'è una magnifica occasione per generare valore". Tutto vero, tutto già sentito e tutto un po' noioso. Molte diagnosi, poche le cure proposte. Tanta paura di comunicare, pochissima voglia di fare rete. Ho sentito anche alcuni spunti interessanti, trovato qualche conferma delle buone potenzialità di progetti in pentola, ma certo mi aspettavo di più e di meglio.

Più confronto e discussione (tra i relatori e con il pubblico in sala), una formula più snella (il social networking, il 2.0, non vale la pena di farlo anche de visu?), una connessione wi-fi funzionante (non ci crederete, si può fare!), più ragazzi e ragazze con meno di trent'anni, meno volantini e depliants, meno penne omaggio e meno caramelline griffate. Peraltro nemmeno tanto buone. Ma forse, chissà, sono un po' dinosauro anch'io e non ho capito.

Chris Anderson: ''L'energia e la futura Silicon Valley''



Dalla Silicon Valley stiamo passando alla Sun Valley. Noi possiamo solo sperarlo, Chris Anderson ce lo da per certo: Obama lo ha deciso e quindi si farà. D'altra parte la Silicon Valley è negli States, mica qui in Italia.

Ho avuto il piacere di ascoltare il direttore di WIRED nell'incontro ''L'energia e la futura Silicon Valley'' organizzato dall'Enel a Roma il 5 febbraio. Un incontro di un'ora e mezza molto ben condotto da Antonio Capranica grazie al suo inglese fluente e alll'occasione di un tema caldo: proprio ora che tante aziende della Silicon Valley sentono pesantemente la crisi, saranno in grado di mantenere la corsa verso quell'innovazione che dovrebbe rappresentare una chance per il futuro di tutti?

Chris Anderson non ha mostrato dubbi: la risposta è si, certamente. L'innovazione ci salverà (noi come umani e ambiente...) perché la disponibilità di soluzioni "green" porterà alla diffusione di una maggiore coscienza e responsabilità. Persino lui - così ci ha raccontato - che aveva in auto il piede pesante ed amava correre, da che guida un'auto ibrida è stato portato gradualmente ad assumere comportamenti virtuosi. Il solo leggero rumore provocato dal passaggio dall'alimentazione elettrica a quella a benzina ha finito per provocargli un senso di disagio. Un "click" che funziona da allarme del passaggio (con l'aumento della velocità) dal comportamento virtuoso a quello irresponsabile.

La cosa mi ha dato da pensare. Cosa succederebbe se nelle nostre case, negli uffici, al superare di una certa soglia di consumo elettrico suonasse un garbato allarme? Correremmo a spengere una lampada dimenticata accesa, abbasseremmo lo scaldabagno di cinque gradi o faremmo finta di nulla? E se dopo qualche minuto l'allarme diventasse da garbato ad imperioso?

Se insomma progresso tecnologico ed educazione procedessero il parallelo, magari grazie alle possibilità che la tecnologia stessa offre a quattro soldi, non potrebbe esserci un futuro "verde" che da remoto diventa prossimo?

Voglio provare a ragionarci meglio, magari partendo dalla realtà di casa o dello studio. Niente di clamoroso, ma un piccolo aiuto che ogni giorno accompagni me per primo e chi vive o lavora con me ad utilizzare le risorse in modo più furbo. Se riesco a produrre qualcosa di utile vi avverto, ma se fate prima voi non siate gelosi: la mia e-mail l'avete.

Innovazione, innovatori, ma non saranno troppi?

Ho fatto ieri una rapida ricerca su Facebook. Il risultato: 408 gruppi che hanno nel nome il termine innovazione e 42 che contengono il termine innovatori. Caspita quanti, ma non saranno un po' troppi? Ho dedicato alcune ore a leggere manifesti programmatici e "statuti" rilevando un numero infinito di analogie, per non chiamarle ripetizioni, francamente preoccupante.

Mi viene da dire che la prima innovazione vera, la novità quasi assoluta, sarebbe un po' di coordinamento. Sopratutto in considerazione del futuro difficile, o almeno non roseo, che ci attende nei prossimi mesi o anni.

Capisco gli individualismi, capisco i distinguo, ma così si disperdono una enorme quantità di energie che invece potrebbero essere sfruttate in modo molto più produttivo.

Mamma, Papà, voglio un PC per andare su Facebook

Pensavo fosse solo una boutade, speravo fosse solo una boutade, invece no. Giovedì sono stato all'interessante convegno organizzato dall'Istituto per le Politiche dell'Innovazione dove la battuta era circolata e pensavo di questo si trattasse, di un artificio oratorio di uno dei relatori. Ieri pomeriggio mi sono infilato in un megastore di quelli dove trovi di tutto, dal forno a microonde al palmare di ultima generazione, dal depilzero al pc multimediale di grido. Ne esco sempre piuttosto sconsolato dalla costatazione del sapiente mix di sacro e profano che viene esposto sugli scaffali. Sono uno di qui dinosauri che resta convinto che la diffusione di massa dell'informatica sia un male, ovviamente nei modi in cui è avvenuta. Ma questo è un discorso che magari faremo in un'altra occasione.

Sono stato un'oretta ad aggerirarmi tra gli scaffali fingendo interesse per il ciarpame esposto, in realtà origliando i discorsi degli avventori. Oddio, altro che boutade. La gente vuole proprio un PC per andare su Facebook, anzi vuole un netbuk per andare su feisbuc. D'altra parte dove mai potrebbe andare con un accrocco con il display di un Nintendo e la tastiera ben peggiore di quella del forno a microonde? Basta che ci sia un rettangolino dove cliccare, e dopo la prima immane fatica di registrarsi (bisogna scrivere il proprio login) le volte successive con due click sei in feisbuc, dove poi ti poi limitare a cliccare come con il telecomando della tv.

Non ho nulla contro Facebook (ci mancherebbe... proprio io), non ho nulla contro il fatto che tutti abbiano un pc (magari fosse...), ma così è come comprare un'auto sportiva senza avere la minima idea di cosa sia guidare. Il motorino al figlio che non è mai andato in bici. Ancora una volta ci troviamo a correre senza aver imparato a camminare. Non è bene. Si rischia di slogarsi una caviglia e perder interesse per il piacere ed il valore della corsa.

Tornando al convegno, su una cosa prima di altre mi è venuto di ragionare: c'è ancora bisogno di un piano di alfabetizzazione, ce n'è un maledetto bisogno anche se sono certo che non verrà. E' di oggi il dato di quanto ci costa il basso livello di competenza informatico dei dipendenti pubblici, ma so per esperienza che in tanto privato le cose vanno anche peggio. Lo stesso problema c'è nella scuola, pari pari, dove abbiamo insegnanti messi in crisi dai nostri figli supernintendizzati, ma non per questo alfabetizzati. E abbiamo milioni di anziani ai quali non pensa nessuno, ma ai quali stiamo preparando un futuro prossimo fatto solo di servizi telematici che non saranno in grado di utilizzare, se non intermediati dalla badante rumena.

In più, ora che lo spazzolino da denti elettronico a sei velocità tira meno, che il girapolenta fotonico piace meno, ci stanno dicendo che è un bene per l'economia che il consumatore faccia le rate per avere un netbuk per andare su feisbuk. Ma è proprio l'unica via? Non c'è proprio il modo di insegnare al consumatore le moltiplicazioni in colonna oltre che fagli imparare le addizioni da autodidatta? E se d'improvviso ricominciassimo a ragionare sul fatto che è un cittadino, prima che un consumatore?